– Le piacciono i marinai a questa cagnolina tanto morbida e carina? –.
Per fare la domanda più insulsa e stupidamente trasversale possibile, quest’epico cesso si è sollevato dalla mezza genuflessione che aveva assunto per ingraziarsi a suon di moine il mio cane, ora si sistema un po’ la camicia sul petto, mette le mani sui fianchi, mi guarda per (quella che per quanto ingenuamente ne so è) la prima volta e aspetta con aria incomprensibilmente baldanzosa. Devo punire la sua boria. – Non è una femmina, e gli piace chiunque, a prescindere da una qualifica professionale –, anche perché vanagloriarsi per essere un marinaio è di un’ingenuità imbarazzante ai limiti della vergogna fisica. – Capisco – no, mi sa che non capisci – E a te piacciono i marinai? – vedi che non capisci?
Vorrei controdomandargli dove ha fatto le elementari perché, se siamo arrivati al tu più velocemente di quanto fosse opportuno, è chiaro che io e questo tizio abbiamo passato insieme momenti formativi importanti. Soprassiedo e mi limito a rispondere – No, a me non piace nessuno, a prescindere dalla qualifica professionale –, ed è generalmente vero, solo mi accorgo della possibilità che la mia venga interpretata come la risposta acida di una che se la sta tirando per essere lavorata ancora meglio, così inizio subito a muovermi ripiegando su un – Ora scusa, ma devo proprio… –.  – No, aspetta un attimo! – e aspettiamo. – Sai dov’è via Lazio? – sì, come d’altronde lo sa chiunque a Palermo e lui è indubbiamente di Palermo. – Sì, come d’altronde lo sa chiunque a Palermo e tu sei indubbiamente di Palermo – mi sento dire. Lui tace, e per me è un bel momento. Poi sorride con un’amarezza che a un vero essere umano farebbe stringere il cuore, ma che a me provoca solo un mortale sbadiglio dell’anima.
Il bel momento dura poco. Anche se la risposta poco conciliante ha forse spiazzato il suo maldestro  tentativo di approccio, i suoi occhi vagano qui e lì come a cercare un appiglio cui aggrapparsi rapidamente per sfuggire al disagio del momento. Poi la folgorazione: – Sì, ok è vero. Ma vedi…– si gira e rientra nella macchina da cui è sceso e in cui si trovano altre tre persone, due uomini e una donna, e ne esce con dei fogli in mano. Ha trovato l’appiglio. – In realtà io non devo arrivare in via Lazio, ma in un posto che si trova… – dà una rapida scorsa a quei fogli aggrottando gli occhi alla ricerca di una scritta che fa palesemente finta di non sapere dove si trovi, poi con tono trionfante – Eccola qua! …Che si trova in via delle Alpi – dice, scandendo per benino vi-a de-lle Al-pi come se fosse ostrogoto. Ma dire via delle Alpi in sostanza equivale a dire via Lazio. Salutiamo pertanto il suo debole tentativo di salvare la faccia dalla verità di una banale alquanto imbarazzante e più che classica manovra di abbordaggio serale: ciao ciao, appiglio. Sbuffo teatralmente, – Guarda che via delle Alpi e via Lazio sono praticamente la stessa cosa –. Mi fissa avvilito lasciando pesantemente cadere le braccia e quei fogli su di sé, per un fardello che ha tutta l’aria di essere un grosso, rassegnato scoramento. E probabilmente sì, verso i pessimi modi di contatto di quest’uomo potrei certamente essere un po’ più delicata e comprensiva. E onestamente sì, lo sarei se quest’uomo non fosse la cozza che è. Ma quest’uomo è la cozza che è e in più fa il marinaio. – Mettiamola così – non si arrende – non sono di questa zona, va bene? Devo raggiungere questo posto e né io né i miei amici sappiamo dove si trova. Che ti costa darmi un’indicazione? –. Il mio cane, che in tutto questo tempo ha pingpongato le sue occhiate da me al tizio da cui è si è lasciato comprare per una manciata di coccole, adesso fissa su di me quei suoi bulbi sproporzionati e la loro espressione intrinsecamente supplichevole con cui anche lui sembra chiedermi “Dai, che ti costa dargli un’indicazione?”. Ricambio la sua occhiata dolce guardandolo con due occhi all’uranio impoverito. E funzionano, infatti smette subito di scodinzolare e abbassa le orecchie, il pavido -necessaria disambiguità: è del mio cane che sto parlando. Torno sul marinaio e le sue improbabili necessità informativo-stradali e decido che questa cosa sta durando troppo. – Vai dritto, – dico con noia – poi sinistra, poi destra. Dritto. Destra. Dritto. Via delle Alpi. Ciao. – Allora: dritto, sinistra, destra, dritto, destra, dritto, ok… E per poterti rivedere..? –, ma la sua voce ha ormai solo il suono di un brutto ricordo, perché ho già ripreso a camminare tirandomi dietro il mio cane visibilmente recalcitrante. – Aspetta! –, continuo a camminare – Hey, aspetta! –, come sopra – DAI! DEVO INSEGUIRTI TUTTA LA NOTTE? –, qui mi fermo. Il pensiero che il marinaio possa anche solo lontanamente intuire dove abito mi gela il cuore e paralizza lo spirito (ricordiamoci che per quanto ne sappiamo potrebbe essere chiunque, da Nicholas Sparks a chissà quale altro maniaco). Meglio che mi lasci raggiungere, su queste zeppe della malora e con un pechinese di sei chili opponente all’improvviso la resistenza di un mastino obeso le possibilità di poterlo depistare sono praticamente inesistenti. Lo sento avvicinarsi – CHE C’È? – quasi urlo voltandomi con la dolcezza di un erinne. E sarà veramente così perché lui sembra risentirne e accennare un passo indietro. Deve fare uno sforzo per riprendere a parlare e appena me ne accorgo sento qualcosa di pungente e sapore confusamente morale all’altezza del fegato. – Voglio solo sapere cosa devo fare per poterti rivedere… –. – Solo questo? Ma allora dillo prima! –, sembra riprendersi e quasi quasi sorride, l’ingenuotto. – Non devi fare niente, perché tu non puoi rivedermi – rispondo, da una parte sentendo in faccia quel sorrisino compiaciuto e orientativamente ebete di chi ha concepito quel tipo di freddura che anche un termosifone avrebbe potuto concepire, dall’altra sentendo tuttavia allo stomaco quella lametta di simil pietas e moralità borghese che poco prima era ferma al fegato.
– Ma perché sei così scontrosa? Io non capisco.. Che ho fatto per meritare tutta questa acidità? – la sua domanda è invitante. – Sei serio? – la mia domanda è speranzosa. – Che vuoi dire? – chiede  interdetto.
– Voglio dire: vuoi sapere davvero cosa hai fatto per meritare la mia acidità? –. Ora mi guarda increspando un po’ gli occhi ai lati, cerca di capire se sto scherzando o sono seria. Io sono serissima e alla fine lui decide – Sì, dai. Dimmi perché mi stai trattando tipo peste e giuro che poi me ne vado –. Proposta irresistibile. – Perfetto, – dico – per farla breve: te ne vai in giro tutto baldanzoso e bracchi senza riguardi la gente a cui non vedi l’ora di ti presentarti come un marinaio perché credi che la cosa ti renda un figus magnus. Sei grossolano e incosciente: una volta ho rifiutato di uscire di nuovo con un tizio solo perché la prima volta si era presentato con una camicia su cui erano ricamate le sue iniziali – lo vedo impallidire e con aria leziosamente indifferente insinuare la camicia un po’ più dentro i pantaloni – …E infatti. Non ne avevo dubbi, – proseguo. – E a te che ti glori di un luogo comune vecchio come il cucco dovrei riservare un trattamento diverso? –. Silenzio. – Cioè, in tempi di crisi come questo pensi seriamente di poter adescare donne con cagnolino al guinzaglio così precariamente? –. Silenzio. – Dicendo che fai il marinaio? –. Silenzio. – Ma sul serio? –.
Silenzio.
Silenzio.
E silenzio.
– E va bene, ok! Ma sai che c’è?? – si ridesta dal molle torpore del suo essere (nonché con ogni probabilità della sua vita tutta) con una foga e una sicumera più ostentate che sentite, del risultato scarso se ne avvede anche lui e a questo segue pertanto una pausa scoraggiante. Resto comunque educatamente ad aspettare la continuazione di ciò che sospetto non sarà l’esposizione del concetto più intellettuale che abbia mai sentito, ma a veder quell’animella lì davanti a me e in cerca di cosa non si sa, quasi mi mortifico e la sensazione è simile a quando si guarda un film in tv e si incappa in un’inaspettata scena di sesso con tua nonna che ti sta seduta accanto sul divano. – Sarò come pensi tu triste e ingenuo, ma ti assicuro che questa cosa del marinaio funziona sempre…–  sì, nel regno dei minerali e dei vegetali probabilmente è così – quindi magari il vero problema sei tu, può essere? Non ti sei mai chiesta se i marinai non piacciono solo a te? – in effetti no, questo non me lo sono mai chiesto -e casomai me lo fossi chiesto, probabilmente l’avrei fatto in una lingua un po’ più italiana della sua. D’altronde la considerazione che ha appena proposto è così profonda che in compenso potrei iniziare a chiedermi dell’altro, per esempio se sia il caso di cacciare fuori i Lego® e metterci a fare graziose e stimolanti costruzioni variopinte in amabile miniatura, io e questo essere di età anagrafica variabile dai trenta ai trentacinque anni e di età mentale variabile dai sei agli otto.
– E anche se fossi l’unica donna al mondo a cui non piacciono i marinai, non resterei comunque quella che stai provando ad adescare stasera? Allora cos’è, siccome le mie colleghe in testa hanno sterpaglia mista a sterco quella strana sarei io? Mi dispiace, ma personalmente non vedo cosa ci sia di tremendamente irresistibile in un marinaio: per quanto mi riguarda non solo è uno -stronzo- qualunque, ma è pure uno -stronzo- qualunque che se ne va in giro a usare parole cretine tipo poppapruarolliobeccheggio e bolina.
E per di più sei brutto come la morte, ci sarebbe da aggiungere (ma ho sempre qualche difficoltà a mostrare a me stessa e agli altri la superficiale che sono realmente e tradire così i miei presunti precetti morali di matrice ebraico-cristiana sulla bellezza interiore. Quindi quello non glielo dico).
Non c’è molto da aggiungere adesso e infatti il marinaio accenna soltanto un cedimento con un quasi impercettibile crollo di spalle, per poi rianimarsi un poco e dire – Ok, sarò anche uno stupido… –  no, come sarai? Lo sei, già molto chiaramente ora: non c’è mica bisogno di mettere i verbi al futuro, dolce stella dei nostri cuori – …Ma ti ho vista passeggiare per strada con il tuo cane… – pechinese della malora – …quelle scarpe… – zeppe della malora – …quel modo di camminare… e mi sei sembrata così bella – e non posso fare a meno di ricordare con tristezza che nel mondo ci sono, come lui, tanti esseri confusi che della bellezza non apprezzano nient’altro che la possibilità, immediatamente traducibile in necessità, di averla. Eppure non penso che quest’uomo qui, che di sicuro avrà visto tanti bei tramonti nella sua vita, si sia mai gettato dalla prua della sua nave in mare per possederne uno.
– Vogliamo essere più precisi? –, propongo col tono di chi sta per tagliare la testa al toro, e senza aspettare la sua risposta continuo – Tu, da marinaio vecchio lupo che ti credi d’essere.. – Ok, senti: non faccio il marinaio – ..mi hai vista per caso mentre tornavi svogliatamente su chissà che nave con poppaprua e altre parole cretine.. – Non faccio il marinaio, ti dico – ..e hai pensato “Ma se questa va in giro a far passeggiare il cane vestita così, vai a sapere come si agghinda altre volte! Aspetta che la abbordo subito e controlliamo!”, questo hai pensato. E la fine della storia qual è? Ci sono io che ti saluto da una banchina sventolando un fazzoletto col cuore pieno di amarezza per il tuo abbandono marinaro? – Non sono un marinaio vero, io… – E in più vogliamo trascurare il grande classico?, io che sto sulla banchina col fazzoletto e l’amarezza e so che in fondo non osserverai la tua promessa proverbialmente inosservabile, miseramente destinata ad allevare il nostro pargolo in eterna solitudine e passando le notti insonne a chiedermi se il mare ti abbia preso o ancora no? –. – Non sono un marinaio vero, ti dico!
– Ho dimenticato qualc… COSA? –. La serata inizia inaspettatamente a farsi interessante, sento che questa storia prenderà l’insospettabile piega di un’avventura a lieto fine. Così io e il mio cane, immagino storcendo entrambi la testa (probabilmente a destra), restiamo immobili, so che se il quadrupedismo non gli facesse schiantare la testa al suolo e le sue non misurassero otto centimetri scarsi, starebbe a zampe impazientemente conserte anche lui; non respiriamo per non far rumore, non spostiamo lo sguardo dal tizio neanche per sbaglio: interiormente anchilosati per la curiosità, io e il mio coso non viviamo che in questo istante. – Che vuoi dire? – domando con il cipiglio sagace e indagatore che non ho.
– Questo: in realtà non sono un vero marinaio. Cioè, non per il momento e non di fatto, almeno… – non so cosa stia per dire, ma in ogni caso nel frattempo decido di basire un po’ e non fare niente per nasconderlo. – Lavoro per la guardia costiera. Il mio lavoro è andare in giro per i locali a controllare il pesce… – comincio ad avere una sensazione da “Non ho parole” – …da dove viene, se è fresco… – forse davvero non ne ho – …Se i gestori del locale sono a posto con le fatture… –.
È sicuro: non ne ho.

Antonio -questo il vero nome del Marinaio momentaneamente deputato al controllo di fatture nei ristoranti a menu di pesce e nonostante questo autoprofessantesi all’occorrenza un marinaio di quelli da pruapoppa e bolina e che pertanto non merita la finzione letteraria di un nom de plume, l’ho incontrato il giorno dopo, in centro. S’è scoperto che fosse una vecchia conoscenza di alcuni miei amici, una scoperta di cui lui non è stato per niente felice e, dopo che i suoi amici in sua assenza mi hanno raccontato certe cose, si è anche chiarito il perché. Quella sera Antonio ha provato nell’ordine a: lusingarmi con un italiano improbabile per un paio d’ore, nascondere maldestramente una fede all’anulare sinistro, fiondarsi sul mio collo, ostentare tranquillità dopo la sberla ricevuta in cambio come prova significativa che non fosse il caso di concepire qualsiasi parte del mio corpo come meta delle sue viscide intenzioni, profondersi in scuse su scuse, assicurarmi che non gli fosse mai successa una cosa simile prima di conoscermi, e invitarmi a continuare la serata con lui accompagnandolo «Solo come amica, si capisce!» a fare la guardia. La “guardia” sarebbe consistita nel guardare tutta la notte un monitor e i suoi segnetti verdi per controllare che qualche nave non sbattesse con qualche altra.
Ho declinato gentilmente.

Il giorno successivo ricevo una telefonata da un numero anonimo.
– Ciao, sono Antonio – la sua voce è innaturale, ha il tono deciso e sbrigativo di chi s’è studiato per bene cosa dire e non vuole interruzioni.
– Ciao, Ant…
– Devo parlarti, ti prego di non interrompermi.
– Non lo farò, dimmi.
Tutto quello che segue è di una verità così pura che dopo di lei il nulla.
– Senti, ci ho pensato a lungo…
– …
– Sono giunto a una conclusione, e per me non è stato facile arrivarci, credimi.
– …
– Io ti ringrazio per avermi permesso di fare la tua conoscenza. Riguardo ai modi che ho avuto la prima volta che ci siamo conosciuti e l’altra sera… sappi che ero molto imbarazzato per aver incontrato per caso te insieme a quei miei vecchi amici… E riguardo al mio abbordaggio la prima volta che t’ho vista, che dire? Tu eri bellissima. Quel vestito, quelle scarpe… Sei una donna molto affascinante… Come ti muovi, come parli… Scusami se mi sono comportato come un lumacone, ma è veramente difficile averti di fronte e riuscire a stare fermi.
– Non ti sembra di esager…
– Ti prego di non interrompermi.
– …
– Ma anche se tu sei bellissima e stimolantissima…
– …
– Anche se mi piaci da morire, io sono un uomo sposato, ho una famiglia.
– …
– Ho una moglie, capisci? Sto per diventare padre… – qui fa una pausa e ne approfitto per chiedergli
– Scusa, ma perché mi chiami da un numero nascosto?
– Perché così non potrai richiamarmi.
– …
– Perché ci ho pensato a lungo e mi dispiace, ma è meglio se non ci vediamo più.

E fu così che il marinaio-non-marinaio Antonio, cantandosela e suonandola in piena autonomia, tecnicamente mi scaricò.