tutto bene??
ciao
Luca

Tutto bene?
A Natale?
Come chiedere ad uno stitico se gli piaccia la limonata.
A Natale va bene un cazzo.

Non perché sia cattiva in sé la festività, anzi. La storia della natività col bue e l’asinello è molto toccante e i regali dei re magi sempre meglio della solita bottiglia di vino.
Però è indiscutibile che a Natale niente vada davvero bene.
Perché la gente che va dietro al Natale non sta mai davvero bene.
Quindi sarò pure la solita infantile riottosa, ma scatta l’odio violento e spietato per tutto quel che sotto Natale nasce, cresce, muore.
Dall’odio salvo solo i Francescani del convento di fronte casa, solo perché i vecchietti barbosi che vanno in giro in sandali anche d’inverno meritano stima e ammirazione, oltre al posto che spetta loro di diritto in paradiso.

Mentre tutti quelli che a dicembre parcheggiano in tripla fila perché Natale vuol dire intasare i centri commerciali e mi fanno fare tre giorni di coda perché a me serve un banalissimo mouse nuovo e loro hanno ben deciso di svuotare un intero negozio, meritano anatemi e purgatorio.
C’è il bisogno maniacale di spendere convulsamente la tredicesima?
Perfetto. Erigiamo una cittadella dove chi ne ha una possa andarsene a ‘fanculo senza per forza rendere invivibile un intero centro storico? Propongo Bellolampo: dal produttore al distributore al consumatore alla monnezza, accorciamo pure l’iter classico del consumo e niente più TARSU.

“Stanco della solita gente che a Natale vuole solo passeggiare per la sua città?
Vieni a Bellolampo.

A Natale puoi
fare quello che non puoi fare mai
È Natale e a Natale si può fare di più
Per noi
A Natale puoi

Le feste a Bellolampo: un Natale agevolmente acquistabile. Immediatamente defecabile”.

Oggi, mentre aspettavo di pagare il mio piccolo mouse di merda, ho ingollato qualsiasi cioccolatino e ogni cosa gli somigliasse nel raggio di cinque metri. Dopo un po’ ho finalmente capito perché in tutti i negozi del mondo le porcherie da mangiare siano sempre vicino le casse, solo che era troppo tardi, perché ero già ciccia, brufoli e quasi in peritonite. Eppure sussiste il mistero della fede natalizia: perché, oltre ai cioccolatini e alle gomme da masticare, gli scaffali delle casse pullulano di rasoi e preservativi? Che va bene ingannare l’attesa sgranocchiando qualcosina, ma farsi una depilazione o qualcuno mi sembra eccessivo, un atteggiamento molto poco natalizio .
Anche perché ci sono i minori. Il popolo dei centri commerciali sotto Natale è fatto dai bambini. Solo che non sono bambini normali. Sono piccole bestie dopate.
Il bambino tipo in un centro commerciale ha smesso all’improvviso di appartenere alla categoria dell’homo erectus: non si muove su due gambe, ma per lo più striscia sul pavimento strattonato per un braccio dalla mamma che non bada alla frattura dell’ulna subita dal figlio perché è troppo presa dai mestoli Guzzini. Quando il bambino inizia a scivolare sulla pozzanghera delle sue stesse lacrime e intorno al loro esempio di famiglia felice s’è raccolto un folto numero di spettatori pronti a chiamare gli assistenti sociali, la premurosa mamma solleva finalmente il piccolo inferocito e borbotta qualche ipocrita vezzeggiativo mettendosi la bocca a culo di gallina.
“Mu cicciu, c’è bisognu di furu cusì?”
Ma il bimbo, ormai in preda ad una crisi isterica, giustamente la schiaffeggia. Per punirlo, la mamma gli ficca in bocca il ciuccio più e più volte caduto a terra, forse sperando che a quel punto il figlio muoia per infezione da acaro.

Il motivo per cui i bambini preferiscono una frattura al braccio piuttosto che continuare a girare coi loro genitori per i centri commerciali è chiaro: assistono all’acquisto di cose assurde e abominevoli ma, non potendo esternare adeguatamente il loro disappunto, simulano imminenti attacchi epilettici e convulsioni. Purtroppo non si sentirà mai un bambino di cinque anni dire alla sua genitrice “Madre, in questo periodo di crisi universale, comprare un cicciobello che rutta se lo premi mi sembra decisamente fuori luogo e anche un po’ offensivo”. Invece lo si vedrà dentro un carrello della spesa a diventar paonazzo e dare violenti calci all’aria.
Uscendo dal centro commerciale, ho visto una signora e sua figlia che facevano la fila per farsi incartare il “Set dell’Ironing Girl” che non pensavo potesse essere quello che avevo temuto, ma lo era: un’asse da stiro e uno appendiabiti in miniatura.
La bambina aveva il volto rigato dalle lacrime evidentemente appena versate copiose e adesso era notevolmente perplessa.

Se avessi sette anni e mia madre mi regalasse il “Set di Iron Girl”, la denuncerei per danni morali e istigazione alla vita domestica.

E le commesse. Vogliamo parlare delle commesse?
Le care commesse (quelle che io tratto sempre con grandissimo rispetto e garbo e che, di risposta, mi rimandano occhiatacce da tantolosochetifacciosolopena o, ben che mi vada, puntuale indifferenza ad ogni saluto che porgo) si mettono a lavorare dopo essersi date appuntamento alla Città della Lentezza.
E se capita che un cliente chieda ad una di loro “Scusi, potrebbe dirmi il prezzo di questo?”, nel tempo che questi impiega a porgerle l’oggetto in questione, lei gli lancia il più uterino degli sguardi, gli sgancia un sorriso al veleno pur avendo un crocifisso di tre chili appeso al collo e, quando infine la principessa sullo sgabello risponde “Certo, dia qui”, sembra che le abbiano chiesto di scorticarsi il petto e spremerci sopra una spugna imbevuta di limone.
Un po’ di leggerezza, suvvia.
Le misere sette ore in cui fate nulla fuorché poggiare il culo su una sedia sono un problema?
Crema per piaghe da decubito e andiamo.

E per cortesia, vogliamo aiutarle a truccarsi un po’ meno da Incantevole Creamy?
Che bisogna fare perché le commesse capiscano che le probabilità di essere notate da un talent scout mentre passano allo scanner il codice a barre di Guitar Hero è davvero bassa?
Creare un gruppo su facebook?